Spesse volte, quando qualcuno sceglie la propria professione, questa scelta può essere condizionata da ferite e carenze personali, più o meno antiche.

Lavori come lo psicologo, il counselor, l’insegnante di yoga o altri che prevedono di accompagnare le persone lungo i loro percorsi individuali, richiedono responsabilità e coraggio.

Responsabilità, perché quando qualcuno permette con fiducia ad un professionista di entrare nel proprio spazio intimo, l’operatore deve rispettare il suo ruolo sostenendo e operando per il bene individuale della persona.

Coraggio, perché molto spesso, se non quasi sempre, la persona che riceve il trattamento viene accompagnata ad elaborare traumi e tematiche che possono risuonare anche nell’intimo profondo dell’operatore.

Durante i trattamenti, il professionista dovrebbe essere in grado di rimanere centrato sulla persona e di riservare ad un diverso momento l’elaborazione della propria tematica emersa durante il processo.

Se invece l’operatore rimane agganciato a quello che si manifesta durante i vari lavori o si fa trascinare dalle eventuali reazioni della persona, significa che non è ancora pronto per questo ruolo o addirittura potrebbe non essere d’aiuto.

Personalmente a me è successo svariate volte.

Spesso, durante o dopo dei lavori di gruppo o dopo lavori individuali, accade che le persone dicano o facciano qualcosa che risuona con il mio vissuto profondo.

In quel caso sto attento a non prenderla sul personale e riconosco nell’accaduto un’opportunità preziosa per elaborare successivamente quella tematica riemersa.

Queste occasioni che si rivelano opportunità rendono speciale e prezioso il mio lavoro.