• Il Saluto al Sole è sicuramente la sequenza di posizioni più conosciuta nello yoga. Il nome indiano Surýa Namaskàr deriva dal sanscrito, l’antica lingua dell’India: Surýa significa “Sole”; Nàmas significa “inchinarsi, porgere il saluto”. Surýa Namaskàr significa pertanto “inchino, saluto rivolto al Sole”.

 

  • Il sole, la nostra fonte primaria di luce, è stato oggetto di adorazione fin dall’inizio dei tempi.
  • Ci sono tracce di culti solari in tutto il mondo, dall’Asia alla Polinesia, dall’Africa alle Americhe, che si sono protratti fino ai nostri giorni: per gli eschimesi il sole è la vita, mentre la luna rappresenta la morte; in Indonesia il sole s’identifica con un uccello e con il potere del volo; tra le popolazioni africane primitive la pioggia è il seme fecondatore del dio Amma, il sole, creatore della terra. Il sole è sempre stato riconosciuto come la sorgente della Vita, da cui tutti gli esseri ricevono energia, calore, vitalità.

 

  • Quando si parla di “energia”, intesa come “energia” vitale non misurabile con gli strumenti diagnostici a nostra disposizione, si rischia di sembrare dei visionari un po’ new age, come se parlassimo del nulla o di qualcosa di romantico.
  • Tuttavia basta porsi un momento in ascolto di noi stessi, neanche con eccessivo impegno, per percepire cosa proviamo quando, durante una giornata uggiosa o nuvolosa, inaspettatamente le nuvole si aprono ed esce il sole: improvvisamente dentro di noi succede qualcosa, sboccia come una forza, cresce la volontà di agire, l’umore cambia e ci sentiamo più leggeri o addirittura allegri.
  • Questa forza che dona vitalità si chiama Pràna e l’aria ne risulta intrisa.
  • È il Sole che ce la regala tutti i giorni. Non c’è da stupirsi, quindi, se in molte tradizioni yogiche la pratica delle àsana (le posizioni) ha inizio con l’invocazione al sole o con il Saluto al Sole.

 

  • Origini del Saluto al Sole

    Per migliaia di anni gli indù hanno venerato il sole, che chiamano Surýa, sia come cuore fisico e spirituale del nostro mondo, sia come creatore della vita stessa. È per questa ragione che una delle denominazioni di Surýa è Savìtri, il “vivificatore”, il quale, secondo il Rig Veda, «genera e alimenta il genere umano in vari modi” (III.55.19). Per gli indù, il sole è “l’occhio del mondo” (Loka Chakshus), che vede e unisce in sé tutti i Sé; egli è, insieme, immagine divina e percorso verso il Divino.

    Tra gli storici dello yoga c’è un certo disaccordo sulle origini del Saluto al Sole, come noi oggi lo conosciamo.

    I tradizionalisti sostengono che la sequenza abbia almeno 2500 anni di storia (e forse più), e che abbia avuto origine nel Periodo vedico come un rituale sacro che si compiva all’alba, accompagnato dalla recita di Mantra, con offerte di fiori, riso e libagioni d’acqua.

    Il Surýa Namaskàr delle origini probabilmente non era una sequenza di posizioni, ma piuttosto una sequenza di formule sacre, con cui nella tradizione vedica, che precede lo yoga classico di diverse migliaia di anni, si onorava il sole come simbolo del Divino. L’intera pratica comprendeva 132 passaggi e richiedeva più di un’ora di tempo. Dopo ogni singolo passaggio, il praticante eseguiva una prosternazione, portando il corpo completamente disteso a terra, con la testa in direzione del sole, in segno di devozione.

    Il collegamento tra il sole (Surýa) e il Divino continua ad apparire, da allora, in tutte le tradizioni vediche e yogiche successive. Tuttavia, le origini del Surýa Namaskàr come lo conosciamo ai giorni nostri, ovvero come una sequenza di posizioni, sono più misteriose.

     

    Storia del Saluto al Sole

    Il Sole nel calendario Maya

    Il Dio del Sole tradizione Indù

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

    Da dove proviene, dunque, questa popolare sequenza?

    Il più antico testo di yoga in cui troviamo descritta la sequenza del Saluto al Sole, lo “Yoga Makarànda“, è stato scritto nel 1934 da T. Krishnamachàrya, considerato da molti come il padre dello Hatha Yoga moderno. Non è chiaro, tuttavia, se Krishnamachàrya abbia appreso questa sequenza di posizioni dal proprio maestro Ramamòhan Brahmachàri o da altre fonti; o se l’abbia inventata egli stesso.

    Di certo Krishnamachàrya (o chi per lui) non creò questa pratica tenendo in considerazione solo gli aspetti fisici della sua applicazione, ma unificò in una singola sequenza l’aspetto spirituale dell’antica tradizione vedica e gli indubbi benefici fisici, derivanti dalla pratica dello yoga.

    Nella sua scuola Krishnamachàrya insegnò la sequenza a molti studenti, tra i quali si annoverano K. Pàttabhi Jois (fondatore del sistema Ashtanga Yoga), B.K.S. Iyengar (fondatore del sistema Iyengar Yoga), e Indra Devi (la prima donna occidentale che conseguì il riconoscimento ufficiale all’insegnamento dello yoga in tutto il mondo). Questi studenti, diventati insegnanti a livello internazionale, hanno ispirato gran parte dello yoga praticato oggi nel mondo occidentale. Per tramite loro, il Saluto al Sole è diventato quindi parte integrante della pratica moderna dello yoga.

    Per quanto antico possa essere il Saluto al Sole e qualunque sia la sua origine, nel corso del tempo sono state sviluppate molte varianti di questa sequenza di àsana. Di seguito ne proponiamo una versione, tra le più conosciute.

     

    La simbologia del Surýa Namaskàr

    Gayatri Mantra

    Così come, nei testi sacri, I’antica saggezza indiana si serve di immagini mitologiche per spiegare le grandi verità sul mistero dell’esistenza, anche le àsana del Saluto al Sole sono ricche di simboli e sono portatrici di profondi significati. Ogni movimento, come pure I’intera sequenza, evoca immagini archetipiche, le quali parlano alla nostra mente, alla nostra psiche e alla parte più profonda di noi.

    Questa caratteristica del Surýa Namaskàr favorisce in chi lo pratica un atteggiamento positivo e creativo, che può contribuire a modificare gli stati mentali negativi, quali la depressione, I’ansia, la letargia.

    Da un punto di vista puramente simbolico, la sequenza del Surýa Namaskàr, che propone una sincronia con il tragitto del sole, può rappresentare la vita di ogni singolo giorno, un intero percorso evolutivo personale o cosmico, un nostro “cammino spirituale”: attraverso la simbologia delle àsana, il “non manifesto” si incarna nella materia e ritorna infine all’invisibile, dopo aver acquisito una coscienza superiore.

    Le posizioni (àsana) che costituiscono il Saluto al Sole racchiudono in sé, tuttavia, significati simbolici ben definiti e riconoscibili:

     

    Pranamàsana, la prima posizione, crea una disposizione d’animo meditativa, necessaria alla pratica, e segnala l’apparire dell’astro celeste, il sole.

    Rappresenta la pace, la bellezza dell’alba; è il primo momento spirituale della giornata; il buio e la luce si incontrano (Ìda e Pìngala), dando origine all’energia spirituale (Sushùmna). Le mani giunte rappresentano le energie non differenziate; l’immobilità indica l’attesa, ciò che precede la nascita dell’universo e dell’individuo.

    Secondo alcune interpretazioni, Pranamàsana può anche rappresentare quello stadio evolutivo che vide l’uomo raggiungere la posizione eretta.

     

     

     

    Da Pranamàsana si passa a Hàsta Uttanàsana. Le braccia ed il capo vengono allungati verso I’alto, il palmo delle mani e lo sguardo sono rivolti al cielo, il corpo assume la forma di un arco: è come se il praticante si aprisse per meglio assimilare l’energia del sole.

    Questa posizione la si ritrova anche in altre tradizioni spirituali, con il significato di invocare l’intervento divino.

    Le mani si staccano: dall’indifferenziato si passa alla dualità, alla manifestazione, al concepimento.

     

     

    Segue Uttanàsana. Dopo aver invocato le forze spirituali ed essersi coImato di energia, l’uomo la usa per trasformare la sua vita terrena, simboleggiata dal contatto delle mani con la terra: l’evoluzione procede attraverso la materia. La posizione indica quella introspezione che conduce all’equilibrio necessario per affrontare Ia vita quotidiana.

    Si legge nel “Surýa Namaskàra” di Satyanànda: “Dopo che I’uomo ha guardato il cielo per l’ispirazione, egli guarda la terra per l’equilibrio e la stabilità”: Uttanàsana è una posizione simmetrica e stabile.

    Secondo un’altra interpretazione, la testa si avvicina alla terra perché indica simbolicamente Io spirito che guida la materia.

     

     

     

     

     

    In Àshwa Sanchalanàsana, la quarta posizione, il ginocchio flesso e poggiato a terra sta ad indicare l’umiltà; l’apertura del torace e lo sguardo rivolto in avanti rappresentano la generosità, il coraggio, la forza: tutte qualità necessarie per affrontare Ia quotidianità e indispensabili compagne di un cammino spirituale.

     

     

     

     

    Àdho Mùkha Svanàsana, la posizione del “cane a faccia in giù”, in alcune scuole yoga viene chiamata anche “la montagna”.

    È una posizione stabile ed equilibrata, dove la testa, posizionata in basso, si sottomette al cuore.Ashtanganamascàra viene interpretata come l’arrendersi completo e cosciente dell’ego al Sé: mi prostro umilmente, nella consapevolezza dell’esistenza di una Coscienza superiore.

    Nel testo di Satyanànda viene descritta come la posizione che rappresenta l’uomo nel momento della stanchezza, dell’inerzia.

     

     

     

     

     

     

    Ecco poi il “risveglio dal sonno”, dall’ignoranza: Bhujangàsana, la posizione del cobra.

    Il serpente, simbolo di saggezza, si inarca: inizia I’ascesa verso Ia conoscenza.

     

     

    La sequenza poi procede con le stesse posizioni praticate in ordine inverso: da Bhujangàsana si passa ad Àdho Mùkha Svanàsana, quindi ad Àshwa Sanchalanàsana, a Uttanàsana, ad Hàsta Uttanàsana, per tornare infine a Pranamàsana.

    Nella prima parte della sequenza la coscienza si incarna nella materia, per poi rivolgersi nuovamente, nella seconda parte, verso la trascendenza e la dimensione spirituale.

    Il Saluto al Sole si conclude riportando le mani giunte al petto: ecco la pace espressa dal tramonto, la conclusione di una giornata, ma anche il ritorno del Sé alla propria sorgente.

    Il Saluto al Sole può essere letto anche come un percorso evolutivo naturale: dallo strisciare a terra si passa alle quattro e poi alle due zampe piegate, per giungere infine alla posizione eretta.

     

     

    Come si esegue il Surýa Namaskàr (Saluto al Sole)

     

     

     

     

 

  • POSIZIONE 1 – Partiamo in posizione eretta con i piedi paralleli, leggermente divaricati.Le mani sono giunte davanti allo sterno. 

 

 

 

 

 

POSIZIONE 2 – Inspirando, apriamo le braccia lateralmente e le portiamo in alto, distendendo completamente il corpo.Lo sguardo va verso l’alto e la schiena è leggermente arcuata.  

 

 

 

 

 

POSIZIONE 3 – Espirando, flettiamo in avanti il busto e portiamo le mani al pavimento o alle caviglie.

La fronte si avvicina alle ginocchia.

 

 

POSIZIONE 4 – Inspirando, teniamo le mani ferme a terra accanto ai piedi ed estendiamo indietro la gamba destra, piegando il ginocchio sinistro e abbassando il bacino.

Le dita del piede destro e il ginocchio toccano il pavimento; il torace si apre in avanti.

 

 

 

 

POSIZIONE 5 – Espirando, portiamo il piede sinistro accanto al destro, sollevando il bacino verso l’alto; distendiamo le gambe e allineiamo la schiena con le braccia, in modo che il corpo assuma la forma di un triangolo.

Al termine dell’espiro, si passa in apnea alla posizione successiva. 

 

 

POSIZIONE 6 – Mantenendo l’apnea, flettiamo le braccia e appoggiamo torace, mento e ginocchia a terra, mantenendo sollevato il bacino.

Le mani, il mento, il torace, le ginocchia e le dita dei piedi toccano il pavimento e la colonna vertebrale è arcuata.

 

 

 

 

 

POSIZIONE 7 – Inspirando, poggiamo a terra il bacino, distendiamo le gambe sul pavimento e allunghiamo le braccia, arcuando verso l’alto la colonna vertebrale e sollevando la testa.

 

 

POSIZIONE 8 – Espirando, facciamo leva sulle braccia e solleviamo il bacino e i glutei verso l’alto; distendiamo le gambe e allineiamo la schiena con le braccia, in modo che il corpo assuma la forma di un triangolo (come nella posizione n. 5).

Il piede sinistro è accanto al destro alla larghezza del bacino.

 

 

 

POSIZIONE 9 – Inspirando, teniamo le mani ferme a terra e abbassiamo il bacino; piegando la gamba destra portiamo il piede destro tra le mani, mentre il piede sinistro rimane fermo e la gamba sinistra risulta allungata.

Le dita del piede sinistro e il ginocchio toccano il pavimento; il torace si apre in avanti.

 

 

POSIZIONE 10 – Espirando, solleviamo il bacino e portiamo il piede sinistro accanto al destro tra le mani, ferme al pavimento; allungando le gambe solleviamo i glutei verso l’alto (come nella posizione n. 3).

La fronte si avvicina alle ginocchia.

  

 

 

 

POSIZIONE 11 – Inspirando, solleviamo il tronco srotolando la colonna vertebrale, aprendo le braccia lateralmente e portandole verso l’alto; distendiamo completamente il corpo inarcando leggermente la schiena (come nella posizione n. 2).

Lo sguardo va verso l’alto.

 

 

 

POSIZIONE 12 – Espirando, congiungiamo i palmi delle mani e, piegando le braccia, le abbassiamo; portando le mani giunte davanti allo sterno, raddrizziamo tutto il corpo e ritroviamo la posizione di equilibrio iniziale.

 

 

Il Saluto al Sole è completo quando si sono ripetute due volte le 12 posizioni descritte, prima iniziando con il piede destro e poi con il sinistro.

Le due serie di 12 posizioni iniziano e terminano muovendo la stessa gamba, prima la destra e poi la sinistra.

 

Benefici generali

Sono numerosi i benefici derivanti dalla pratica regolare del Saluto al Sole. Anche se solitamente si consiglia di eseguirlo al mattino, è bene non farsi sviare troppo da questa indicazione: il Surýa Namaskàr può essere praticato in qualunque momento della giornata (tranne, ovviamente, subito dopo i pasti).

Il Saluto al Sole riscalda, rafforza e rende flessibile tutto il corpo, costituendo un’ottima preparazione all’esecuzione di àsana più intense. La sequenza delle posizioni del Surýa Namaskàr, infatti, distende la muscolatura del corpo in modo omogeneo e diversificato.

Chi inizia l’impiego di questa pratica in modo regolare, già dopo poche settimane potrà notare i benefici più evidenti: il corpo diventa più sciolto e armonioso, la respirazione si acquieta.

Come tutte le pratiche yoga, anche il Saluto al Sole rappresenta un antidoto ideale contro lo stress e i vari disturbi di cui, purtroppo, la maggior parte delle persone oggi soffre.

Il Surýa Namaskàr ha una pluralità di effetti sul fisico e sulla psiche, grazie alla sintetica combinazione in esso di alcune fra le più importanti tecniche yoga: le tecniche di distensione muscolare, le tecniche di respirazione, le tecniche di meditazione.

 

Altri benefici:

  • migliora la circolazione del sangue;
  • favorisce l’eliminazione delle tossine;
  • tonifica e rafforza il corpo;
  • migliora la digestione;
  • allevia lo stress e l’ansia;
  • aiuta a combattere l’insonnia;
  • rafforza il sistema immunitario;
  • aiuta le condizioni cardiache;
  • aumenta la flessibilità di schiena e gambe;
  • rafforza la schiena combattendone i dolori.

È, inoltre, il miglior amico delle donne, poiché

  • allevia i dolori mestruali e le difficoltà della menopausa;
  • migliora le condizioni di utero e ovaie.

 

Mantra del Surýa Namaskàr

La pratica del Saluto al Sole può essere accompagnata dalla recita di uno specifico Mantra, composto di dodici versetti, coi quali devotamente si inneggia ai doni di Surýa, il sole, e se ne onora la divinità.

Ogni singolo versetto va recitato durante ognuna delle 12 posizioni, che compongono le due serie di àsana del Surýa Namaskàr.

Om mitraya namaha

Mi inchino a colui che è amico di tutti,

Om ravaye namaha

Rendo omaggio a colui che brilla,

Om suryaya namaha

Mi inchino a colui che induce l’attività,

Om bhanave namaha

Rendo omaggio a colui che dona la luce,

Om khagaya namaha

Mi inchino a colui che si muove attraverso il cielo,

Om pushne namaha

Rendo omaggio a colui che dà forza e nutrimento.

Om hiranyagarbhaya namaha

OM al Sé cosmico dorato,

Om marichaye namaha

Mi inchino ai raggi del sole,

Om adityaya namaha

Rendo omaggio al figlio di Aditi,

Om savitre namaha

Mi inchino alla forza vivificante del sole,

Om arkaya namaha

Rendo omaggio a colui che è degno di essere lodato,

Om bhaskaraya namaha

Mi inchino a colui che conduce all’illuminazione.

 

  • Bija Mantra del sole

     

    In alternativa al Mantra, durante la pratica del Saluto al Sole si possono recitare i Bija Mantra del sole.

    I Bija Mantra (bija in sanscrito significa “seme”) sono composti di sillabe molto potenti, prive di significato traducibile, le quali esprimono, sotto forma di vibrazione sonora, l’essenza di una specifica energia.

    I Bija Mantra hanno effetti rilevanti ed istantanei su chi li pronuncia o li ascolta.

    Vi sono milioni di Bija Mantra, ma ne conosciamo solo alcuni. Ogni Bija Mantra esprime attraverso una vibrazione sonora la frequenza di uno specifico elemento; ed ad ogni elemento è associato un centro energetico (Chàkra) del nostro corpo.

    Il più noto tra i Bija Mantra, Om, esprime la frequenza di vibrazione della mente, l’elemento più sottile del corpo umano. La sede della mente è riconosciuta essere in Àjna Chàkra.

    Pertanto Om è detto Mantra di Ajna ed è considerato “il padre”, il più potente di tutti i Bija Mantra.

    Coloro che sono profondi ricercatori della realtà assoluta usano recitare il Mantra Om.

    In un ciclo di Saluto al Sole, i sei Bija Mantra del sole vengono ripetuti 4 volte, al posto del Mantra solare:

     

    Om Hram

    Om Hrim

    Om Hrum

    Om Hraim

    Om Hraum

    Om Hraha

     

    I 108 Saluti al Sole

    Nello yoga esiste la consuetudine rituale di praticare 108 volte il Saluto al Sole in alcuni momenti dell’anno: al solstizio d’estate e d’inverno e durante l’equinozio di primavera e di autunno.

     

    Perché proprio 108 volte?

    Il numero 108 è considerato un “numero sacro” in moltissime religioni orientali, tra le quali l’Induismo, il Buddhismo, il Sikhismo, il Giainismo. In molte regioni dell’India il numero 108 è strettamente legato alle pratiche dello yoga e del Dharma.

    Per gli antichi Rsi (i Saggi che hanno “udito” la Sruti, cioè “la Tradizione”) il numero 108 è quello che, più di tutti gli altri numeri, descrive la completezza della Creazione. Il numero 108 simboleggia, infatti, l’unione di Shiva e Shakti: dalla loro unione scaturisce la Creazione del Mondo.

    Le divinità indù hanno 108 epiteti ciascuna: la ripetizione di questi nomi, facilitata dalla conta dei 108 grani del Màla, il “rosario” indiano, costituisce un rito cerimoniale (namajàpa) e viene considerata una pratica sacra.

    Nello Shivaismo, Shiva Nataràja (epiteto che significa “signore delle danze”) esegue la “danza cosmica” in 108 Karàna, ossia in 108 pose.

    Secondo i Veda, quando l’universo fu creato, il Creatore stabilì 108 divinità per gestirlo. In seguito, nella mitologia, gli dei e le dee avevano tutti 108 nomi.

    Le Upànisad accertate sono 108 ed il loro significato esoterico è il ricevere in modo umile la Conoscenza trascendentale da un vero Gùru, un Maestro. In sanscrito, infatti, upa significa “al di sotto, ai piedi”, mentre ànisha significa “dipendente”; quindi il termine upànishad significa “sedersi in umiltà e silenzio ai piedi del Guru, per ascoltarne gli insegnamenti”.

    Il Rig-Veda ha 10.800 versetti.

    Krishna, nello Srimad Bhagavatam, è messo in relazione con 108 Gopi (pastorelle).

    Il Buddhismo tibetano crede che esistano 108 peccati, e 108 bugie che gli uomini possono dire.

    I libri sacri tibetani del Khagiur sono in 108 volumi.

    Ci sono 108 grani nei Màla, i “rosari” usati dai Buddisti e dagli Induisti per ripetere 108 volte i Mantra, durante una preghiera, e lavare via i peccati.

    I monaci Zen portano al polso uno Juzu (simile all’Akshamàla), formato anch’esso da 108 grani.

    Ci sono 108 Contaminazioni dell’anima nel Buddismo.

    108 è il numero dei peccati/tentazioni nel Buddismo. Questi peccati sono suddividi in 9 gruppi di 11, più 9 peccati speciali. Gli 11 peccati sono sempre gli stessi in ogni gruppo (amore inteso come attaccamento, avidità, competitività, stupidità…). I 9 gruppi sarebbero le differenti aree della vita (relazioni umane, apprendimento…), quindi un peccato può essere applicato a circostanze diverse.

    In Giappone, nei festeggiamenti di fine anno, le campane suonano 108 rintocchi, ognuno dei quali rappresenta una delle 108 tentazioni terrene che l’uomo deve superare per raggiungere il Nirvana (così come fece Buddha).

    108 sono le stelle sacre cinesi: 36 stelle benefiche e 72 stelle malefiche, il bene e il male in diverse forme.

    Nell’arte marziale Wing Chun, in ognuna delle sue tre forme, prevede 108 movimenti nell’apprendimento dell’uso del bastone di legno.

    Sono 108 i movimenti nel Tai Chi Juan.

    L’angolo formato da due linee adiacenti in un pentagono equivale a 108 gradi (geometria euclidea).

    In India 1-0-8 è il numero per chiamare la Polizia (come il 113 in Italia). Un modo di dire comune in India recita: “Digita 108 e salvi una vita”.

    L’ordine esoterico dei Rosacroce opera per cicli di 108 anni di attività, seguiti da altrettanti di paralisi.

 

  • Possiamo analizzare il numero 108 anche da un punto di vista simbolico:

    1 = bindu (simbolo della condizione germinale) è il punto dal quale inizia la creazione e si sviluppa la molteplicità;

    0 = sunyàta (il silenzio assoluto) è il vuoto, quello stato da raggiungere se ci si vuole liberare dal Sàmsara, il ciclo perenne del divenire, dall’indefinita successione di nascita-vita-morte-rinascita;

    8 = anànta (senza fine): è l’infinito, il senza fine.